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In cassette di sicurezza dal 1946: l’ex famiglia reale italiana vuole riavere i propri gioielli

In cassette di sicurezza dal 1946: l’ex famiglia reale italiana vuole riavere i propri gioielli

Secondo i media, comprende collane, orecchini, diademi e spille varie, per un totale di 6.732 diamanti intarsiati e circa 2.000 perle che fanno parte del gioiello della corona. Il valore era stimato una volta in circa 300 milioni di euro, un’altra volta in qualche milione, scrive il “Corriere della Serra”, secondo il quale sarebbe avvenuto martedì il primo incontro tra l’avvocato della famiglia Savoia Sergio Orlandi. All’ordine del giorno per chiarire possibili ritorni erano i legali della Banca d’Italia e del governo italiano.

L’incontro è stato avviato da Vittorio Emanuele, Maria Gabriella, Maria Pia e Maria Beatrice, i figli di Umberto II, l’ultimo re d’Italia a lasciare l’Italia dopo le dimissioni del re Vittorio Emanuele III. Regnò per circa un mese fino alla fine della monarchia. Secondo il quotidiano, la Casa Savoia ha formalmente rivendicato per la prima volta la proprietà dei gioielli alla fine dello scorso anno. Restituito dagli avvocati della Banca Nazionale Italiana come “inaccettabile”.

“Domanda aperta”

Come riportato martedì sera dall’agenzia di stampa ANSA, il tentativo di compromesso in corso anche per la famiglia Savoyen è “fallito”. La fase successiva del caso è l’affare apparentemente già concluso: secondo Arlandi, come precedentemente minacciato, le autorità competenti, in particolare la Banca nazionale italiana, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Economia saranno perseguito.

A differenza di altri beni, i gioielli non sono mai stati sequestrati, come ha detto Orlandi all’Ansa: “Ecco perché devono essere bonificati”. Secondo il “corriere”, questa strategia di sicurezza può sembrare un po’ vaga, ma al momento è davvero una “questione aperta”.

Di conseguenza, l’esiliato Umberto II consegnò i gioielli a Luigi Inadi, allora governatore della Banca d’Italia, pochi giorni dopo il voto referendario degli italiani il 2 giugno 1946. Dovrebbe essere a disposizione di chi se lo merita”.

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Urna con undici sigilli

«I gioielli sono di casa Savoia, vanno recuperati», citava il pronipote di Umberto II Emanuel Filiberto, nell’edizione italiana della rivista di lifestyle «Elle»: Resta da vedere se la «incredibile storia del gioiello» (citazione « Elle”, ndr) in realtà si conclude con un ritorno – fino ad allora, però, i gioielli saranno probabilmente in un caveau. La Banca nazionale italiana è in deposito da oltre 75 anni.

Secondo Elle, la scatola, protetta da undici sigilli, è stata aperta nel 1976 “per la prima, unica e ultima volta”. Il retroscena all’epoca erano prima voci di manipolazione o furto e poi un francobollo rotto determinato dal pubblico ministero. Apparentemente non è stato trovato nulla, ma anche dopo i test e l’inventario da parte del gioielliere Bulgaria, non era chiaro quali gioielli fossero. Secondo Elle, “la maggior parte di questi gioielli sembrano essere regali, acquisti personali e cimeli di famiglia piuttosto che giardini riservati al re”.

“Comunque” si tratta di gioielli, che, secondo il “corriere”, “hanno avuto un ruolo speciale nella storia della Casa Savoia”. Tra i gioielli c’erano “un raro diamante rosa attaccato a una grande spilla a forma di fiocco, oltre a lunghi fili di perle indossati dalla regina Margherita” e – come annotato in uno dei diari di Einaudi – la “famosa” regina Margherita turbante, poi portato dalla regina Elena”.

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Divieto di ingresso fino al 2002

Dietro il lungo sonno del gioielliere si cela il difficile rapporto dell’Italia con Casa Savoia. Fino a pochi anni fa, secondo i media italiani, la richiesta di restituzione dei gioielli poteva aver suscitato una tempesta di rabbia, con solo l’emendamento costituzionale del 2002 che ha revocato il divieto di ingresso in parlamento ai sabaudi maschi.

Più di recente, nel 2017, sono state trapiantate le spoglie del defunto re sabaudo italiano Vittorio Emanuele III. (1869-1947) Per le lotte dall’Egitto all’Italia. Nomi de Cegni, leader della comunità ebraica italiana, ha detto che il re era amico del regime fascista. Quando nel 1946 fu fondata la Repubblica Italiana, la famiglia reale fu deportata. Fu accusato di prendere il potere dal dittatore Benito Mussolini nel 1922 e di aver firmato leggi etniche fasciste nel 1938.